Il Disturbo post-traumatico da stress si manifesta con una serie di sintomi di disagio innescati dall’esperienza di eventi traumatici stressanti, come la personale esposizione ad eventi dolorosi, a una malattia grave, al rischio di morire o ad altre serie minacce alla propria integrità fisica o a quella di familiari e amici stretti (catastrofi naturali, violenze personali, incidenti, lutti, ecc.).
– frequenti immagini e pensieri intrusivi, flashback o incubi ricorrenti che fanno rivivere l’evento traumatico;
– comportamenti persistenti di evitamento di circostanze associabili al trauma (ad esempio, luoghi, attività o persone che fanno ricordare l’evento traumatico);
– sintomi persistenti di sovra-eccitamento (ad esempio, irritabilità, preoccupazione, ansia, depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione, ecc.).
A questi sintomi possono aggiungersene altri di natura fisiologica come palpitazioni, inappetenza, disturbi del sonno, ecc.
Secondo la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5; APA, 2013), per fare diagnosi di PTSD è necessario valutare la presenza dei seguenti criteri:
Criterio A – Esposizione a un evento traumatico:
come a morte o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale. Come già accennato qui sopra, l’esposizione può avvenire in diversi modi:
- Fare esperienza diretta, cioè la vittima vive il trauma in prima persona;
- Assistere a un evento traumatico accaduto ad altri;
- Venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a una persona con cui si ha una relazione intima, ad esempio un componente della propria famiglia o un amico stretto, e in particolare ai caregiver primari nel caso dei bambini. La morte o la minaccia di morte deve essere stata violenta o accidentale;
- Estrema e ripetuta esposizione a dettagli crudi dell’evento (ad esempio, nel caso dei primi soccorritori in seguito all’evento o di agenti di polizia durante le indagini), ma non tramite i media, ad eccezione che nei casi in cui anche ciò sia legato alla professione svolta.
Criterio B – Sintomi di risperimentazione:
la vittima si ritrova a rivivere ripetutamente il momento del trauma. Ad esempio, ciò può avvenire sotto forma di flashback, cioè percezione di star risperimentando l’evento nel presente, fino alla completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante. I flashback sono di solito accompagnati da intensa paura e reattività fisiologica (battito cardiaco accelerato, sudorazione, tensione muscolare e nausea). Alcuni particolari che ricordano il trauma possono diventare dei trigger, cioè possono scatenare un flashback in modo improvviso. Un’altra forma di risperimentazione del trauma avviene attraverso gli incubi, il cui contenuto spesso riguarda, in maniera più o meno esplicita, persone, situazioni, luoghi o particolari legati all’evento traumatico.
Criterio C – Sintomi di evitamento:
nel tentativo di evitare la risperimentazione del trauma, la vittima può cominciare a evitare situazioni esterne (attività, conversazioni, persone, ecc.) che ricordano, simboleggiano o sono in qualche modo associate all’evento traumatico. Con il tempo, questa strategia di coping diventa sempre più problematica, poiché la persona può finire per ritirarsi dalle interazioni sociali, smettere di frequentare i luoghi abituali, o cambiare significativamente le proprie abitudini per non incorrere in dettagli che possano scatenare sintomi disturbanti. L’evitamento può riguardare anche l’esperienza interna della persona: in maniera più o meno consapevole, la vittima può sopprimere ricordi spiacevoli o emozioni intense e negative, ad esempio facendo uso di alcool e droghe, gettandosi a capofitto nel lavoro, adottando comportamenti sessuali compulsivi e a rischio, giocando d’azzardo o infliggendosi dolore fisico mediante atti di autolesionismo. La strategia dell’evitamento può essere funzionale nel breve termine, ma alla lunga ostacola l’elaborazione delle esperienze traumatiche.
Criterio D – Sintomi di alterazione negativa dei pensieri e delle emozioni:
l’evento traumatico viene vissuto da molte vittime come uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, tra la “salute” e la “malattia”. La persona può sviluppare convinzioni o aspettative negative su se stessa (“sono cattiva”, “sono responsabile di quanto mi è accaduto”), gli altri (“non ci si può fidare di nessuno”, “gli altri vogliono sfruttarmi o abusarmi”) o il mondo (“il mondo è un posto pericoloso”, “non c’è speranza per il futuro”). Anche la memoria può essere significativamente alterata, ad esempio la persona può non ricordare particolari anche estesi del trauma, un fenomeno noto come amnesia post-traumatica. Emozioni negative comunemente esperite includono colpa, vergogna, rabbia, paura e umore depresso. Per proteggersi dal dolore psicologico, la persona può cercare di distaccarsi dalle proprie emozioni, e può quindi risultare insensibile, disinteressata o estraniata rispetto agli altri, anche quando si tratta di persone care o di attività che precedentemente le procuravano gioia.
Criterio E – Sintomi di iperattivazione (arousal)
nel caso del PTSD, la normale attivazione fisiologica (arousal) che permette il comportamento di attacco o fuga in caso di pericolo, è costantemente innescatata, risultando in uno stato fisiologico di iper-arousal che non si esaurisce naturalmente. La persona sviluppa una sorta di ipersensibilità ai potenziali segnali di pericolo, che la porta a essere costantemente in allerta, a rispondere in maniera esplosiva e rabbiosa anche in assenza di provocazione e a vivere in uno stato di ipervigilanza e tensione che va a interferire con la capacità di calmarsi o di addormentarsi.
Questo profilo di sintomi deve essere persistente (durare più di un mese; Criterio F), creare sofferenza e interferire con il funzionamento della persona in aree importanti (Criterio G) e non essere attribuibile agli effetti di sostanze stupefacenti o a un’altra condizione medica (Criterio H).
Tipologie di PTSD
In alcuni casi, i sintomi del PTSD possono manifestarsi in forme particolari, di cui le più note sono:
- PTSD con sottotipo dissociativo: oltre ai sintomi nucleari del disturbo, la persona riporta persistenti sintomi di dissociazione, come depersonalizzazione (sensazione di distacco dal proprio corpo e dai propri processi mentali, oppure di essere un osservatore esterno di se stesso) o derealizzazione (sensazione di distacco dall’ambiente circostante, che appare irreale, distorto o come in un sogno). Le persone possono dissociarsi per sfuggire “mentalmente” e sopravvivere all’esperienza del trauma mentre avviene (dissociazione peritraumatica), ma anche in seguito per proteggersi da emozioni e stati soverchianti.
- PTSD a espressione ritardata: sebbene possano esserci dei segni precoci, i sintomi del disturbo si manifestano pienamente dopo oltre 6 mesi dall’esposizione all’evento traumatico. L’intero quadro sintomatologico può addirittura comparire dopo diversi anni dall’evento, come nei casi degli adulti che sviluppano il PTSD a molti anni dagli abusi infantili.
- PTSD nei bambini: anche i bambini possono sviluppare il PTSD, ma alcuni dei sintomi caratteristici variano rispetto alle presentazioni adulte. Ad esempio, elementi del trauma possono non essere rivissuti direttamente, ma rimessi in atto attraverso il gioco, mentre il contenuto traumatico dei sogni può non essere immediatamente riconoscibile. I sintomi di iperattivazione si evidenziano in particolare in problemi di condotta, attenzione e concentrazione in ambiente scolastico.
- PTSD complesso (C-PTSD): questa forma si manifesta tipicamente in seguito a traumi precoci, di natura interpersonale (ad esempio, abuso fisico, sessuale o psicologico ad opera di una figura di accudimento) e di tipo cronico (come maltrattamenti ripetuti, violenze cumulative o grave trascuratezza). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2018) non considera il C-PTSD come un sottotipo del PTSD, ma come un disturbo indipendente inserito nell’undicesima edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11).
Prevalenza e cause del PTSD
I tassi di prevalenza del PTSD variano notevolmente a seconda degli studi. Negli Stati Uniti, il DSM riporta che il disturbo colpisce il 5% degli uomini e il 10% delle donne e può manifestarsi a qualunque età, sebbene i bambini e gli anziani siano più vulnerabili (APA, 2013). Nella popolazione generale, i bambini presentano un tasso di prevalenza del PTSD pari al 16,6% (Costello et al., 2002). Di contro, uno studio del 2008 effettuato in Europa ha rilevato una percentuale del 1,1% di PTSD negli adulti (Darves-Bornoz et al., 2008). Le percentuali sono più elevate nelle popolazioni fortemente esposte a situazioni ripetutamente traumatiche, come persone che vivono in zone di guerra, in cui le stime variano tra il 10% e il 40% (ad esempio, Atwoli, Stein et al., 2015). O ancora, il PTSD ha un’elevata prevalenza negli adulti sopravvissuti ad abuso fisico e sessuale durante l’infanzia con percentuali che variano dal 37% al 44% (Rosner et al., 2014). Questi dati risultano particolarmente allarmanti se si considera che, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 7-36% delle bambine e il 3-29% dei bambini sarebbe stato soggetto a una violenza sessuale.
I risultati dell’European Study of the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD), uno studio condotto su iniziativa dell’OMS in diversi paesi europei, tra cui l’Italia, hanno mostrato che più della metà della popolazione italiana (56,1%) è stata esposta ad almeno un evento traumatico, con un rischio di sviluppare un PTSD che va dal 12,2% per gli eventi legati alla guerra allo 0,8% per la violenza sessuale (Carmassi, Dell’Osso et al., 2014 per le analisi del campione italiano). Va notato che, mentre i tassi di esposizione e rischio di PTSD per eventi come incidenti e perdite personali fossero in linea con gli equivalenti europei, quelli relativi alla violenza sessuale risultavano pari a quasi la metà rispetto al resto del campione ESEMeD. Questo dato va interpretato con cautela, poiché potrebbe riflettere una sottostima del fenomeno sul territorio italiano. In Italia dati ISTAT (2015) rivelano che la maggior parte delle donne abusate in famiglia e/o dal proprio partner incontri significative difficoltà nel denunciare e nel chiedere aiuto.
Il PTSD si sviluppa come conseguenza di uno o più eventi traumatici fisici o psicologici. Alcuni esempi degli accadimenti che possono determinare lo sviluppo di un PTSD sono:
- esposizione a disastri naturali come terremoti, incendi, alluvioni, uragani, tsunami;
- guerra, tortura, minacce di morte;
- incidenti automobilistici, rapina, disastri aerei;
- malattie a prognosi infauste;
- lutto complicato o traumatico;
- svolgere un lavoro che aumenta il rischio di esposizione a eventi traumatici;
- maltrattamento e/o trascuratezza nell’infanzia (C-PTSD);
- abuso fisico e sessuale nell’infanzia (C-PTSD);
- bullismo;
- aggressioni, vittimizzazioni e discriminazioni basate sul genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’etnia o la religione;
- violenza politica e comunitaria.
La gravità del trauma e la minaccia percepita giocano un ruolo significativo nello sviluppo di un PTSD: maggiore è l’entità del trauma e della minaccia percepita, maggiore è la possibilità di sviluppare un PTSD (APA, 2013). In generale, si parla di fattori di rischio per indicare gli elementi e le caratteristiche che, interagendo tra loro, aumentano la probabilità che un disturbo compaia e si stabilizzi. Nello studio delle cause del PTSD, i fattori di rischio vengono spesso divisi in fattori pre-traumatici, cioè preesistenti all’evento traumatico, aspetti del trauma, ossia caratteristiche del trauma in sé e per sé o della risposta immediata, e fattori post-traumatici, vale a dire che hanno a che fare con la condizione della persona e/o del suo ambiente in seguito al trauma. Alcuni esempi includono:
Trattamento del PTSD
A oggi, gli interventi psicologici più efficaci per il trattamento del PTSD sono:
- la Terapia Cognitivo Comportamentale focalizzata sul trauma (TF-CBT);
- l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).
Questi due approcci evidence-based sono attualmente raccomandati nelle linee guida internazionali sul trattamento delle condizioni correlate allo stress (WHO, 2013).
A differenza di altre sindromi, per poter fare una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress è necessario un evento esterno di natura traumatica che interferisca nel normale corso della vita di un individuo causando una serie di reazioni psicofisiologiche, che, se persistenti nel tempo si vanno a consolidare come chiari sintomi del disturbo stesso. Non sono tutt’ora chiari i meccanismi che ne facilitano l’insorgenza e non tutti gli individui che nella vita sono stati sottoposti ad un evento fortemente stressante si sono poi ritrovati a sperimentare questo genere di sindrome.
è l’esperienza diretta di un evento che implica una minaccia di morte od un grave danno fisico od altri tipi di minaccia all’integrità fisica, o essere testimoni di un evento che minacci o sia un reale danno per l’integrità fisica di un’altra persona o venire a conoscenza di una morte violenta od improvvisa o di un grave danno fisico che ha colpito una persona cara. La prima reazione deve essere di paura intensa, accompagnata da un senso di scoraggiamento che oltrepassa la soglia di orrore stesso o spavento.
La pratica clinica insegna che non è necessario, per poter diagnosticare un disturbo come questo, che i sintomi si manifestino subito dopo il trauma; nell’esordio tardivo possono essere trascorsi anche 6 mesi.
Bibliografia
Galeazzi, A., Meazzini, P. (2004). Mente e Comportamento. Giunti Editore, Firenze.
Taylor, A.J.W. & Frazer, A.G. (1982). The stress of post-disaster body handling and victim identification work. Journal of Human Stress, 8, 4, 4-12.