Nell’infanzia i disturbi del sonno sono molto frequenti ed hanno notevoli ripercussioni sia sulla salute del bambino che su quella dell’intera famiglia. Il ruolo dei genitori nella genesi e nel mantenimento di questi disturbi solitamente è fondamentale pertanto è necessario istruirli sulle nozioni di base relative al sonno dei bambini. Nel bambino il sonno è un processo in evoluzione, quindi nella gestione dell’addormentamento e dei risvegli, potrebbero essere proprio i genitori ad instaurare inavvertitamente cattive associazioni tra il sonno normale e i comportamenti disfunzionali del bambino in relazione al sonno.
Si tratta di un disturbo molto frequente che si caratterizza per l’incapacità di addormentarsi o di mantenere a lungo il sonno, esattamente come accade negli adulti; nel bambino il segnale più importate dell’insorgenza di un disturbo di inizio e mantenimento del sonno è l’incapacità a riaddormentarsi autonomamente.
L’epidemiologia dell’insonnia del bambino presenta una variabilità legata all’età: l’insonnia è presente in circa il 20-30% dei bambini nei primi 2 anni di vita e si riduce al 15% dai 3 anni in poi. In generale i bambini italiani dormono meno rispetto ai bambini americani ed europei: si coricano più tardi e si svegliano più frequentemente durante la notte.
L’insonnia nel bambino viene diagnosticata quando compare per almeno tre notti a settimana, presentandosi difficoltà di addormentamento (per un tempo maggiore di 45 minuti), e/o risvegli multipli (più di 2, con oltre 30 minuti di tempo necessari per riaddormentarsi), e/o risvegli precoci.
L’insonnia nel bambino può essere causata da molteplici fattori: cause organiche, problemi psicosociali, patologie della relazione bambino-genitore, fattori genetici, prematurità, disturbi psichiatrici nelle figure genitoriali.
I tipi di insonnia nell’infanzia si distinguono in base all’età.
Primo anno di vita
Disturbi di inizio del sonno per associazione: quando il bambino associa l’addormentamento a rituali fissi (che possono riguardare oggetti o determinate circostanze), per cui se si risveglia la notte non si riaddormenta se non in presenza delle stesse condizioni presenti all’addormentamento. Si manifesta di solito nei primi anni di vita e tende a scomparire in età prescolare;
Sindrome da eccessiva assunzione di cibo e bevande durante la notte: l’addormentamento iniziale e successivo ai risvegli notturni avviene solo in associazione con eccessiva quantità di liquidi (di solito oltre i 100-200 ml) o di alimenti; l’associazione con gli alimenti può determinare un apprendimento alimentare sbagliato, cioè si cronicizza il ritmo polifasico dei primi mesi di vita;
Coliche dei primi mesi di vita: attualmente viene ipotizzata una relazione tra l’insorgenza delle coliche e una disfunzione dei processi di maturazione del ritmo sonno/veglia. Nel periodo post-colico si può instaurare un disturbo del sonno (risvegli multipli notturni e riduzione della durata totale di sonno), in quanto questi bambini sono facilmente irritabili e sensibili ai cambiamenti dell’orario di addormentamento, per cui è importante praticare una corretta igiene del sonno;
Insonnia da allergia alle proteine del latte o da altri allergeni alimentari: la sintomatologia è simile a quella delle coliche, ma scompare con la rimozione dell’alimento e si associa ad altri sintomi (cutanei, respiratori, ecc.) secondari all’allergia.
Da 1 a 6 anni
Disturbi da mancata identificazione del limite: si manifesta in età prescolare, con il rifiuto da parte del bambino di andare a dormire autonomamente, e quando si sveglia la notte non vuole rimanere nel proprio letto; in questi casi è importante approfondire la relazione tra il bambino ed i genitori;
Paure all’addormentamento ed incubi: sono importanti quando persistono, sono monotematici e assumono caratteristiche fobiche od ossessive.
Adolescenza
Igiene del sonno inadeguata;
Insonnia da assunzione di sostanze stimolanti.
Indipendenti dall’età
Insonnia legata a fattori socio-ambientali;
Insonnia secondaria a malattie mediche, neurologiche, psichiatriche (otite acuta, reflusso gastroesofageo, asma, epilessia, mioclono periodico notturno, malattie metaboliche, rialzi febbrili, ecc.).
In entrambi i casi, sia con gli adulti che con i bambini, è possibile effettuare interventi mirati per migliorare la qualità e la quantità del sonno; si tratta di tecniche non invasive che, qualora si tratti di un’insonnia secondaria (quindi la punta dell’iceberg di un problema sottostante predominante), si riducono a semplici istruzioni comportamentali da seguire.
Quasi tutti i trattamenti sul sonno nella prima infanzia, hanno come obiettivo rendere autonomo il bambino nella fase di addormentamento. Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’utilizzo di tecniche comportamentali nel trattamento del disturbo del sonno nella prima e seconda infanzia, determinando nel 50-80% dei casi una risoluzione dei sintomi notturni, oltre a benefici nel funzionamento diurno e sul benessere familiare.
Si tratta di un tipico disturbo dell’età pediatrica che si caratterizza per un parziale risveglio dal sonno profondo (fasi 3 e 4 Non REM), spesso accompagnato da grida, agitazione intensa, pallore, sudorazione, tachicardia, tachipnea (respiro accelerato), aumento della pressione arteriosa e aumento del tono muscolare. Il bambino è inconsolabile, poco responsivo agli stimoli ambientali e, se viene svegliato, appare è confuso, disorientato e non riconosce le persone vicine. A volte può scendere dal letto, camminare, e/o urlare per la casa terrorizzato. In quest’ultimo caso il Pavor si presenta insieme al SONNAMBULISMO.
Gli episodi, si verificano di solito nel primo terzo della notte, e la durata dell’episodio va dai 30 secondi ai 5 minuti. Il bambino al mattino non ricorda nulla.
L’età d’esordio oscilla tra i 3 e i 10 anni senza differenze di sesso e tende a risolversi gradualmente e spontaneamente nel tempo.
Nell’esordio del disturbo si riconoscono alcuni fattori precipitanti come, asma notturna, reflusso gastroesofageo, apnee e deprivazione di sonno.
La componente genetica nell’esordio di questo disturbo è molto elevata: c’è un rischio 10 volte maggiore di sviluppare terrori notturni se almeno uno dei parenti stretti ha sperimentato questo o altre parasonnie (es. sonnambulismo) nella propria vita.
I bambini con terrori notturni in sonno non hanno una maggiore incidenza di disturbi mentali o di psicopatologia rispetto alla popolazione generale. Al contrario, in età adulta, è più elevata l’incidenza di problematiche psicopatologiche correlate quali il Disturbo Post-traumatico da Stress e soprattutto i Disturbi d’Ansia.
Un approfondimento diagnostico tramite esame strumentale (polisonnografia) è indicato nel caso in cui si renda necessaria una diagnosi differenziale con episodi di natura epilettica in sonno oppure si sospetti la presenza contemporanea di disturbi respiratori durante il sonno (che per definizione favoriscono l’insorgenza dei terrori notturni). Per il resto, la diagnosi sulla base della storia clinica può essere sufficiente.
La diagnosi differenziale deve essere fatta anche con gli incubi, che sono invece tipici della fase REM del sonno, da cui si differenziano per l’amnesia dell’episodio (gli incubi generalmente si ricordano) e anche per la fase del sonno interessata (prima parte del sonno nel caso dei terrori notturni, fase centrale/ultima parte nel caso degli incubi).
I terrori notturni, inoltre, devono essere distinti anche da episodi di attacchi di panico notturni che consistono in un risveglio associato a tachicardia, sudorazione e sensazione di soffocamento. Generalmente, a differenza dei terrori notturni, i piccoli pazienti ricordano l’episodio al mattino e la durata dell’evento è compresa tra i 2 e gli 8 minuti.
Come già accennato, generalmente l’evoluzione del disturbo da terrore notturno ha un andamento benigno e tende ad andare incontro a remissione spontanea senza interventi mirati.
Se i terrori notturni hanno una frequenza inferiore a 1 settimana e non mettono a rischio di incidenti il bambino, si possono adottare accorgimenti non farmacologici, tra cui:
- Adottare misure di sicurezza in casa (es. bloccare porte e/o scale, rimuovere oggetti che possono costituire intralcio o possono essere dannosi se il bambino si alza)
- Curare l’igiene del sonno (mantenere un regolare ritmo sonno veglia, evitare caffeina e coca-cola, ecc.)
- Evitare di risvegliare il bambino durante l’episodio perché potrebbe aumentare l’agitazione e prolungare l’evento
- Consigliare tecniche di rilassamento all’addormentamento
- Minimizzare l’intervento dei genitori perché può portare ad aumentare l’agitazione e a prolungare gli episodi
- Evitare di riferire al bambino il giorno seguente quanto avvenuto durante la notte poiché questo potrebbe causare disturbi d’ansia
Quando invece sono presenti le condizioni di seguito elencate, si rende necessario un intervento specialistico:
- Diagnosi confermata attraverso uno studio del sonno completo del bambino
- Presenza di parasonnia del sonno NREM caratterizzata da episodi di terrore notturno (pianto e grida, sintomi di iperattivazione, reazioni comportamentali di estrema paura)
- Cronicità dei sintomi
- Frequenza elevata degli episodi (ogni notte o più volte a settimana)
- Gli episodi si manifestano in determinati periodi della notte
In questi casi, dopo una valutazione clinica approfondita (anamnesi dei disturbi del sonno, polisonnografia), un tipo di trattamento indicato consiste in un protocollo di risvegli notturni programmati per una o più settimane. I risvegli notturni, infatti, alterano i cicli del sonno del bambino, modificando il pattern elettrofisiologico che sottende al disturbo. Si tratta di una strategia comportamentale molto efficace, seppur faticosa, che consiste nel risvegliare il bambino prima dell’orario in cui di solito si verificano gli episodi e, in seguito, predisporlo nuovamente a dormire.
Il trattamento farmacologico è utilizzato soltanto in casi estremi (episodi frequenti o rischiosi per l’incolumità del bambino), prevede l’utilizzo di benzodiazepine o antidepressivi. Gli effetti collaterali, però, specialmente nei bambini, sono frequenti, e tra questi possono presentarsi: alterazioni comportamentali, disturbi dell’attenzione e della memoria, astenia e stadi allucinatori.
Una valida scelta, utilizzata nei bambini (poiché ha ridottissimi effetti collaterali e non da assuefazione) è il L-5-idrossitriptofano, che determina una stabilizzazione del sonno, riducendo i fenomeni di terrori notturni.
Il sonnambulismo è un disturbo del sonno di natura benigna e a risoluzione generalmente spontanea, che si presenta tipicamente durante la prima parte della notte, ovvero, entro le prime 2 ore dall’addormentamento.
Chi ne soffre compie dei movimenti o dei comportamenti, a volte anche complessi, senza averne coscienza: nonostante l’attività motoria del sonnambulo, questo in realtà sta continuando a dormire.
I sonnambuli possono parlare, oppure emettere suoni incomprensibili, talvolta possono diventare aggressivi, specialmente se qualcuno li tocca nel tentativo magari di svegliarli.
Nonostante la natura del disturbo sia fondamentalmente benigna e si risolva spontaneamente, ovviamente è necessario prestare attenzione ai tipi di comportamenti manifesti, che potrebbero diventare pericolosi in sé.
Il sonnambulismo è un disturbo che riguarda prevalentemente l’età evolutiva: si stima che tra il 15 e il 30% dei bambini hanno sperimentato almeno una volta un episodio di sonnambulismo mentre circa il 6% presenta episodi ricorrenti. L’età di insorgenza di questo disturbo varia dai 4 ai 12 anni, e generalmente a partire dalla pubertà tende a scomparire spontaneamente.
Più raramente si presenta o si prolunga in età adulta, dove incontra una prevalenza pari a solo il 2%.
Tra le cause del sonnambulismo, un ruolo chiave lo giocano i fattori genetici: circa la metà delle persone con sonnambulismo hanno almeno un familiare che a sua volta ha sperimentato questi episodi.
Tra le cause scatenanti ci sono inoltre fattori emotivi (ad es. stress o periodi di disagio psicologico), fattori medici (infezioni e febbre alta, perché aumentano la quantità di sonno profondo, fase in cui si presentano gli episodi), la deprivazione di sonno e l’uso di alcool o droghe.
Il consulto ad un esperto in disturbi del sonno deve essere richiesto se:
- Gli episodi hanno una frequenza maggiore di 2 volte la settimana
- Se durante la notte è presente più di un episodio o comunque avvengono non necessariamente entro 1-2 ore dall’addormentamento (in questo caso deve essere effettuata una diagnosi differenziale con episodi di natura epilettica)
- Il bambino compie azioni pericolose (sale/scende le scale) o presenta episodi di sonnambulismo “agitato”.
- Se il bambino, oltre al sonnambulismo, presenta anche enuresi (pipì a letto) o risulta essere particolarmente ansioso, è bene chiedere una consulenza psicologica al fine di valutare eventuali problematiche emotive sottostanti il disturbo.
La diagnosi può essere effettuata anche solo sulla base del racconto riportato da chi ha assistito agli episodi di sonnambulismo.
Una diagnosi di tipo strumentale (video-polisonnografia) si rende indispensabile nel caso si sospetti che gli episodi riportati non siano di sonnambulismo, bensì che siano di natura epilettica.
L’approccio terapeutico di elezione per il sonnambulismo, è quello comportamentale. I genitori vanno istruiti circa l’importanza dei principi di igiene del sonno, primo tra tutti, mantenere orari di addormentamento/risveglio regolari ed evitare di dormire poco o di andare a dormire troppo tardi. Altro aspetto fondamentale nel trattamento è relativo all’utilizzo delle tecniche di rilassamento, che sono consigliate all’addormentamento e nei casi in cui i soggetti si trovino in periodi particolarmente stressanti (e che quindi potrebbero facilitare l’insorgenza degli episodi di sonnambulismo).
Quando invece sono presenti le condizioni di seguito elencate, si rende necessario un intervento specialistico:
- Diagnosi confermata attraverso uno studio del sonno completo del bambino
- Presenza di parasonnia del sonno NREM caratterizzata da episodi di stato di coscienza alterato (episodi confusionali notturni, difficoltà ad alzarsi, risvegli con amnesia completa o parziale, comportamenti dannosi o potenzialmente tali)
- Cronicità dei sintomi
- Frequenza elevata degli episodi (ogni notte o più volte a settimana)
- Gli episodi si manifestano in determinati periodi della notte
In questi casi, dopo una valutazione clinica approfondita (anamnesi dei disturbi del sonno e polisonnografia), un tipo di trattamento indicato consiste in un protocollo di risvegli notturni programmati per una o più settimane. I risvegli notturni, infatti, alterano i cicli del sonno del bambino, modificando il pattern elettrofisiologico che sottende al disturbo. Si tratta di una strategia comportamentale molto efficace, seppur faticosa, che consiste nel risvegliare il bambino prima dell’orario in cui di solito si verificano gli episodi e, in seguito, predisporlo nuovamente a dormire.
Il trattamento farmacologico risulta essere indicato solo nel caso in cui gli episodi sono molto frequenti oppure se i fenomeni di sonnambulismo mettono a rischio l’incolumità della persona.
Una alternativa, utilizzata per lo più nei bambini (visto che ha ridottissimi effetti collaterali e non dà assuefazione) è il L-5-idrossitriptofano, che, nell’ipotesi di una disfunzione del sistema serotoninergico nella genesi del sonnambulismo e delle altre parasonnie del NREM, determina una stabilizzazione del sonno.
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