Viene definita insonnia la difficoltà ad addormentarsi e a mantenere il sonno, o la disposizione a svegliarsi troppo presto la mattina. A differenza di quanto comunemente si crede, le persone non hanno bisogno di dormire 8 ore al giorno: il 38% delle persone adulte dorme meno di 7/8 ore a notte senza conseguenze negative sulla propria qualità della vita. Recenti studi hanno dimostrato che l’essere umano necessita di 6 ore di sonno. Tutto il tempo in più che dormiamo è “sonno facoltativo”.
L’insonnia può essere:
- iniziale/precoce – difficoltà di addormentamento
- di mantenimento – frequenti e prolungati risvegli notturni
- tardiva – risveglio precoce al mattino
- mista o generalizzata – combinazione mista delle difficoltà elencate in precedenza.
Possiamo dire di avere un problema d’insonnia solo quando un riposo non soddisfacente limita le nostre capacità fisiche e mentali durante la giornata, per un periodo abbastanza lungo. L’insonnia sembra essere un fattore di rischio o causale per lo sviluppo di alcuni disturbi psichiatrici come ansia e depressione (Harvey, 2001; Lichstein, 2000), ma rappresenta allo stesso tempo un sintomo comune ad entrambe queste patologie, pertanto è fondamentale stabilire la corretta diagnosi.
L’insonnia può infatti essere:
-primaria, determinata da tutte le cause diverse da quelle dell’insonnia secondaria (vedi sotto). In genere è dovuta a problemi emozionali: preoccupazioni e ansia. Quando siamo preoccupati, infatti, pensiamo e ripensiamo al problema che ci affligge. Questa “ruminazione” mentale ci impedisce di addormentarci o ci fa dormire male. Si innesca così un circolo vizioso: più ci preoccupiamo, meno riusciamo a dormire. Non dormendo, l’ansia e l’irritabilità aumentano, e così anche le nostre difficoltà ad addormentarci;
-secondaria, legata a cause fisiche o psichiche. Ad esempio l’angina pectoris, le malattie reumatiche, le ulcere gastriche, la menopausa, l’iper e l’ipotiroidismo, le allergie. Inoltre l’ansia, la schizofrenia, il disturbo post-traumatico da stress. Alla depressione spesso è associata la tendenza a svegliarsi presto la mattina.
È stato inoltre rilevato che problemi di insonnia possono essere causati dallo stile di vita (stress, scarso tempo libero, alimentazione non sana, poca attività fisica…) e da cattive abitudini del sonno (guardare la tv a letto, lavorare a letto, svegliarsi e andare a dormire in orari sempre diversi, pisolini prolungati durante la giornata…).
Alcuni farmaci assunti per problemi respiratori, pressione arteriosa, o medicinali a base di steroidi possono essere tra le cause dell’insonnia. L’insonnia secondaria, paradossalmente, può essere anche causata da alcune medicine prescritte per curarla.
È stato provato, inoltre, che l’alcol, la caffeina e la nicotina hanno effetti negativi sul sonno.
Un altro aspetto interessante riguarda gli studi sul sonno: attraverso l’uso della polisonnografia è stato dimostrato che molte delle persone che soffrono di insonnia dormono più di quanto credono. Spesso le convinzioni sbagliate circa quanto e come si dovrebbe dormire possono essere una ulteriore causa di stress e contribuire a tenere svegli. Le persone che dormono bene normalmente impiegano circa 30 minuti per addormentarsi e durante la notte si svegliano diverse volte. Perciò non è realistico aspettarsi di addormentarsi non appena ci si mette a letto e di non svegliarsi mai durante la notte.
Un’altra importante considerazione riguarda il nostro orologio interno corporeo, che controlla il nostro ciclo sonno-veglia modulando la sensazione di sonnolenza o di vigilanza. L’orologio interno si differenzia da persona a persona. Alcune vanno a dormire presto e si svegliano presto (sono dette allodole), altre vanno a dormire molto tardi e si svegliano tardi (sono dette gufi). Le prime tenderanno ad essere maggiormente attive e vigili la mattina, mentre le altre lo saranno più avanti nella giornata.
L’insonnia può durare più o meno a lungo. In genere si distingue in:
-insonnia occasionale, quando dura da una a tre notti ed è il tipo di insonnia causata da periodi di particolare tensione emotiva (ad esempio preoccupazioni familiari o professionali);
-insonnia di breve durata, che dura da tre notti a tre settimane e poi scompare.
In questi primi due casi può non essere necessario un trattamento, dato che il nostro orologio biologico è spesso in grado di riportarci alla normalità da solo, come nel caso del jet lag.
-Insonnia cronica, che dura più di tre settimane.
Il sonno è importante per la salute fisica e psicologica, quindi per la qualità della nostra vita. Quando si soffre di insonnia per un periodo di tempo abbastanza lungo ci si sente stanchi, affaticati e poco pronti a reagire, più irritabili, più ansiosi, con difficoltà di concentrazione e di memoria. Il nostro stato potrà dunque influenzare in modo negativo la nostra felicità, la nostra vita di coppia, la nostra efficienza sul lavoro.
Il sonno si divide in due fasi principali: sonno REM e sonno non-REM.
La sigla REM sta per Rapid Eye Movement, perché in questa fase, sotto le palpebre chiuse, i nostri occhi si muovono molto rapidamente. Questa è la parte del sonno durante la quale sogniamo. Anche durante la fase non-REM possiamo occasionalmente sognare, ma – essendo i nostri pensieri brevi e frammentati – non sogniamo con quella vivida componente immaginativa della fase REM.
Il sonno non-REM si divide in 4 fasi durante le quali il nostro corpo e la nostro mente si rilassano.
La fase 1 è quella di transizione tra la veglia e l’assopimento ed è la più leggera. In questa fase alcune parti del nostro cervello sono sveglie e altre no.
La fase 2 è quella che inizia subito dopo essersi addormentati. È la fase che dura di più: circa il 45% del sonno.
Le fasi 3 e 4 sono quelle in cui il sonno è più profondo.
Le ricerche sulla funzione delle varie fasi del sonno non sono ancora arrivate a una risposta definitiva. Le fasi 3 e 4 sembrano essere quelle che permettono al corpo di rigenerarsi. È l’unico momento in cui il nostro cervello è completamente off-line e finalmente si riposa. Per cui, in genere, se per qualche motivo siamo privati di quelle fasi del sonno, la mattina dopo avremo una sensazione di malessere. La fase REM invece è responsabile del nostro recupero mentale. Una conferma in questo senso viene anche dallo studio del flusso sanguigno. Durante le fasi 3 e 4 la maggior parte del sangue è diretta verso i muscoli, per cui il cervello – non ricevendo molto sangue – ha una scarsissima attività. Nella fase REM, quella in cui sogniamo, avviene esattamente il contrario. È questo il motivo per cui molti studiosi sono convinti che il dormire bene sia legato a queste fasi del sonno e non al numero delle ore. Studi recenti stanno ulteriormente chiarendo le funzioni dei vari stadi del sonno: nella fase 2 sembrerebbe esserci una relazione tra la comparsa dei fusi del sonno (che sono delle figure caratteristiche della fase 2 di sonno) e l’apprendimento di schemi motori, nelle fasi di sonno ad onde lente (3-4 non-REM), potrebbe esserci un legame tra le onde lente e l’apprendimento delle funzioni esecutive, mentre la fase REM (che prima si pensava essere la fase più importante per l’apprendimento in generale, anche per gli studi sul ritardo mentale in cui la prima scoperta che è stata effettuata sul sonno riguardava la riduzione della percentuale di sonno REM), sembra sia legata ad un tipo di apprendimento correlato al sistema cognitivo emozionale.
Una ricerca americana ha stabilito che circa 20 milioni di americani guardano la televisione tra mezzanotte e le tre del mattino. Probabilmente molti di loro soffrono di insonnia. La maggior parte delle persone ha, infatti, problemi di insonnia in alcuni momenti della propria vita. Solo il 10-15% della popolazione, tuttavia, soffre di una insonnia grave o frequente. La percentuale aumenta dopo i 60/65 anni. È stato stabilito che le donne ne soffrano maggiormente. Ad esempio l’insonnia è abbastanza comune durante la gravidanza.
TRATTAMENTO DELL’INSONNIA
Le principali forme di trattamento per il Disturbo di Insonnia sono la terapia farmacologica e la psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Solitamente è il medico di base a prescrivere il farmaco ipnoinducente, che però è sconsigliato per un tempo superiore alle 2 settimane in quanto il suo uso prolungato può provocare effetti collaterali come sonnolenza diurna, vertigini, assuefazione e tolleranza. L’interruzione drastica del farmaco inoltre provoca una sindrome di astinenza caratterizzata da ritorno massivo dell’insonnia, agitazione psicomotoria, ansia e tremori inducendo quindi la persona ad assumere nuovamente il farmaco instaurando un circolo vizioso.
Altri farmaci utilizzati sono farmaci antidepressivi e, più integratore che farmaco, la melatonina. Come ogni integratore però il suo scopo è quello di “integrare” appunto, pertanto non ha alcun effetto se non vi è una carenza organica.
Il trattamento cognitivo comportamentale invece prevede l’impiego di diverse tecniche di intervento tra cui:
– l’educazione e l’igiene del sonno, in cui si analizza il problema soggettivamente e si forniscono informazioni di base sulla fisiologia del sonno;
– la restrizione del sonno, che permette di far coincidere il tempo trascorso a letto con il tempo passato a dormire;
– il controllo dello stimolo, che estingue l’associazione tra letto ed attività incompatibili come il sonno (come pianificare la giornata successiva);
– la ristrutturazione cognitiva, che modifica le convinzioni e le aspettative disfunzionali sul sonno;
– le tecniche di rilassamento e la distrazione immaginativa.
I risultati di indagini di meta-analisi hanno dimostrato il beneficio dell’approccio psicoterapeutico nel 70%-80% dei casi.