I Disturbi dell’Alimentazione sono caratterizzati dalla presenza di grossolane alterazioni del comportamento alimentare. Questa sezione di disturbi comprende:
- Pica
- Disturbo di ruminazione
- Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo
- Anoressia nervosa
- Bulimia nervosa
- Disturbo da alimentazione incontrollata
- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione (Anoressia Inversa, Bulimia nervosa (a bassa frequenza e/o di durata limitata), Disturbo da binge eating (a bassa frequenza e/o di durata limitata), Disturbo da condotta di eliminazione, Sindrome da alimentazione notturna)
Le prime tre categorie riguardano soprattutto i disturbi della prima infanzia, le altre si associano più specificatamente alle persone adulte.
Le patologie più popolari nel contesto alimentare (talvolta chiamate in causa anche a sproposito), sono certamente l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa; in generale si può asserire che caratteristico della prima è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra di quello minimo normale, mentre la seconda è contraddistinta da ricorrenti episodi di “abbuffate” seguiti dall’adozione di mezzi inappropriati per controllare il peso come: il vomito autoindotto; l’uso di lassativi, diuretici, o altri farmaci; il digiuno; ed infine l’attività fisica praticata in maniera eccessiva. Comune ad entrambi i disturbi, è invece la presenza di un’alterata percezione del peso e della propria immagine corporea.
Fino a pochi anni fa i Disturbi dell’Alimentazione che non soddisfacevano pienamente i criteri dell’anoressia e della bulimia venivano classificati come Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati, Disturbi dell’Alimentazione NAS, o EDNOS, dall’acronimo inglese (Eating Disorder Not Otherwise Specified) (Brunch, 1977); poiché la maggior parte delle condizioni cliniche andava però a ricadere in questa categoria, nella stesura del DSM V, è stata modificata la classificazione ed anche alcuni criteri di diagnosi.
Grogan (2008) ha definito l’immagine corporea come quell’insieme di percezioni, pensieri ed emozioni che una persona esperisce riguardo al proprio corpo. Tali percezioni non hanno sempre un’accezione positiva, né tantomeno coincidono con la forma corporea ideale a livello soggettivo: si parla in tal senso di insoddisfazione per l’immagine corporea ed essa costituisce uno dei maggiori fattori di rischio e di mantenimento dei disturbi legati all’immagine corporea e all’alimentazione (Thompson et al., 1999).
Secondo la prospettiva transdiagnostica di Fairburn i Disturbi dell’Alimentazione condividerebbero il medesimo nucleo psicopatologico: un’eccessiva importanza attribuita al peso, alla forma del corpo e al controllo dell’alimentazione. Pertanto l’intera categoria dei Disturbi dell’Alimentazione viene considerata unitariamente e mantenuta da meccanismi comuni quali bassa autostima e perfezionismo (Fairburn et al., 2003). Altri studi (Sassaroli et al., 2007; Sassaroli, Gallucci e Ruggiero, 2008) hanno evidenziato come anche il rimuginio e il controllo costituiscano importanti fattori di mantenimento. In particolare, i soggetti affetti da un Disturbo dell’Alimentazione mostrerebbero una maggiore tendenza a preoccuparsi per gli errori (perfezionismo patologico), un minor senso di autostima, misure più elevate di rimuginio ed una scarsa percezione di controllo sugli eventi esterni e sugli stati emotivi interni, rispetto alla popolazione di riferimento.
Dati recenti confermano l’ipotesi secondo la quale il criticismo percepito dall’esterno, in particolare agito dalle figure di riferimento (genitori, insegnanti, allenatori) precederebbe il perfezionismo clinico (autoimposto dalla persona oggetto di critica) e questo determinerebbe lo sviluppo di un controllo ossessivo del peso e della forma fisica.
Se il perfezionismo e la bassa autostima rappresentano il nucleo patologico del disturbo, il controllo si presenterebbe come la soluzione al problema. Nel caso dei disturbi alimentari il controllo si esprime nel monitoraggio costante del peso, del cibo e dell’aspetto corporeo attraverso la dieta ed è rinforzato positivamente dalla sensazione di successo che si sperimenta quando si riesce a rispettarla (e negativamente dal timore di ingrassare). Il risultato è che, con l’intensificarsi della dieta, il peso decresce sempre più e il processo si autoperpetua. È per questo motivo che il bisogno di controllo nei disturbi alimentari diventa una necessità compulsiva, un vero e proprio obbligo.
Soggetti con disturbi alimentari sentono di non essere capaci di controllare i rapporti personali, le reazioni interne e gli eventi in generale. Per ottenere la percezione del controllo e raggiungere un certo grado di prevedibilità, sono disposti a confinare le loro vite entro un’esperienza ridotta, circoscritta all’alimentazione e alle dimensioni corporee. Tuttavia, sebbene la gestione dell’alimentazione e delle dimensioni corporee offra in un primo momento l’attrattiva di una qualche possibilità di controllo, alla fine li condanna a un’esistenza isolata e insana (Button 1985; 2005). Per Dalle Grave (2001) la tendenza al controllo si focalizza sull’alimentazione perché fornisce una prova evidente e immediata di capacità di autocontrollo, perché ha un potente effetto manipolatorio sugli altri e in particolare sui familiari.
Vediamo adesso i disturbi nel dettaglio:
PICA
Non esiste una definizione univoca di Pica, la più utilizzata è quella di Taber (Lacey, 1990), che definisce la Pica come un comportamento alimentare che si manifesta con un desiderio di ingerire materiale normalmente non considerato come cibo: cenere, pastelli, cotone, erba, mozziconi di sigaretta, sapone, legno, carta, gesso e così via.
Precedentemente classificata all’interno dei “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione dell’infanzia o della prima fanciullezza” del DSM-IV-TR, i criteri per la Pica sono stati rivisti per chiarezza e per consentire di fare diagnosi in persone di qualsiasi età.
Prendendo in considerazione la definizione del DSM 5, la caratteristica fondamentale della Pica è la persistente ingestione di una o più sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili per un periodo di almeno un mese (Criterio A), che risulti sufficientemente grave da giustificare attenzione clinica. Di solito le sostanze ingerite tendono a variare con l’età dell’individuo e con la disponibilità delle sostanze stesse. Solitamente non vi è avversione per il cibo in generale. L’ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili deve essere inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo (Criterio B) e non deve far parte di una pratica culturalmente sancita o socialmente normata (Criterio C). Nei bambini è possibile fare diagnosi superati i due anni di età, in quando si considera evolutivamente fisiologico il gesto di portare alla bocca oggetti non edibili.
L’ingestione di sostanze non commestibili può essere una manifestazione associata ad altri disturbi mentali (per es., disabilità intellettiva, disturbo dello spettro dell’autismo, schizofrenia). Se il comportamento d’ingestione si manifesta esclusivamente nel contesto di un altro disturbo mentale, si dovrebbe porre una diagnosi separata di pica solo se il comportamento d’ingestione è sufficientemente grave da giustificare ulteriore attenzione clinica (Criterio D).
Sebbene l’eziologia esatta della pica non è nota, ci sono alcune ipotesi riguardo ad essa: fattori organici, psicodinamici, socioeconomici e culturali. La maggior parte delle ipotesi ha ampiamente accettato argomenti della teoria orientati verso la carenza nutrizionale (Bhatia & Kaur, 2014). La pica può avere però anche una base psicologica e può cadere nello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi, dove essa assume la forma di un comportamento compulsivo, al fine di neutralizzare il pensiero ossessivo.
Torna all’inizio
MERICISMO
Detto anche Disturbo da Ruminazione, si caratterizza per il continuativo rigurgito del cibo per almeno 1 mese. Di solito è un comportamento quotidiano. Il cibo, prima ingerito, anche parzialmente digerito, viene rigurgitato in bocca, può essere poi rimasticato, ringoiato o sputato, senza nausea o disgusto o conati di vomito.
La funzione del comportamento appare autoconsolatoria e di autostimolazione.
Per la diagnosi è necessaria l’esclusione di condizioni gastrointestinali associate, quali il reflusso gastroesofageo, stenosi del piloro, gastroparesi, ernia iatale, o il decorso di altri disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, dove il rigurgito con eliminazione sono una modalità di smaltimento delle calorie ingerite.
L’esordio è lungo l’intero arco della vita soprattutto in soggetti con disabilità intellettiva; in questo caso viene apposta la diagnosi di disturbo da ruminazione solamente in presenza di un quadro clinico importante, come anche in comorbilità di un altro disturbo mentale. In età infantile compare solitamente fra i 3 e 12 mesi, andando frequentemente incontro a remissione spontanea; si manifesta con l’incapacità di raggiungere gli aumenti di peso previsti; rara è la malnutrizione grave. Il decorso può essere episodico o continuativo.
In adolescenti e adulti con concomitante altro disturbo mentale si verificano comportamenti di evitamento, quali il mangiare in pubblico o l’alimentarsi prima di situazioni sociali, di mascheramento della condotta, tossendo o coprendosi la bocca con la mano.
DISTURBO ALIMENTARE DA EVITAMENTO/RESTRIZIONE
Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo (ARFID) si sostituisce al Disturbo della nutrizione nell’infanzia o prima giovinezza descritto nel DSM-IV TR. A differenza di quest’ultimo, l’ARFID non fa riferimento a un periodo dello sviluppo limitato, con il vantaggio di poter essere diagnosticato durante tutto l’arco di vita. Inoltre, nel DSM 5 la compromissione del funzionamento non si limita a parametri di peso e sviluppo fisico, ma si estende anche a valutare eventuali carenze nutrizionali dovute ad un’alimentazione selettiva esagerata.
I Criteri diagnostici sono:
- A – Un’anomalia dell’alimentazione e della nutrizione (ad es. assenza di interesse per l’alimentazione o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo) che si manifesta attraverso una persistente incapacità di assumere un adeguato apporto nutrizionale e/o energetico associata con una o più delle seguenti:
- Significativa perdita di peso o nei bambini incapacità a raggiungere il peso relativo alla crescita
- Significativa carenza nutrizionale
- Dipendenza dalla nutrizione enterale o da supplementi nutrizionali orali
- Marcata interferenza col funzionamento psicosociale
- B – Il disturbo non è connesso con la mancanza di cibo o associato a pratiche culturali.
- C – Il disturbo non si manifesta esclusivamente nel corso di anoressia o bulimia nervosa e non vi è evidenza di anomalia nel modo in cui è percepito il peso e la forma del proprio corpo.
- D – L’anomalia non è meglio attribuibile a una condizione medica o ad un altro disturbo mentale. Se il disturbo alimentare si manifesta nel corso di un’altra condizione patologica, la sua importanza supera quella del disturbo di base e richiede attenzione clinica.
ORTORESSIA NERVOSA e BIGORESSIA o ANORESSIA INVERSA
L’ Ortoressia Nervosa (ON) è una manifestazione patologica di origine molto recente, che si è sviluppata in concomitanza con la formazione e la diffusione sempre più consistente di filosofie di vita salutiste (per esempio il vegetarianismo, il veganismo e l’alimentazione bio), nonché con un’attenzione della nostra società sempre più forte verso il mangiare sano. Questa condizione è sempre stata difficile da definire in termini clinici: infatti non è stata ancora clinicamente riconosciuta come uno dei disturbi della nutrizione e della alimentazione, in quanto non sono ancora stati stabiliti dei criteri diagnostici validati.
Il termine ortoressia nervosa è stato introdotto per la prima volta da Steven Bratman nel 1997 per indicare una fissazione patologica sul consumo di cibo sano; detta con un gioco di parole: una fissazione non salutare verso cibi salutari.
Il DSM-IV non riconosceva l’ortoressia nervosa come un vero disturbo indipendente da altri e in questi termini, non è stato inserito neanche nella nuova edizione del DSM-5; esso viene collocato insieme all’anoressia inversa nell’area del Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, categoria che indica un’anomalia della nutrizione e dell’alimentazione che si esprime attraverso una persistente incapacità di assumere un giusto apporto nutrizionale e/o energetico.
L’ossessione per il “mangiare sano” tipica dell’ ortoressia va ad incidere negativamente sulla sfera relazionale, emotiva e corporea dell’individuo. Stando alla letteratura (Oberle et al., 2017), l’esordio dell’ortoressia nervosa è un condivisibile desiderio di mangiare meglio per avere una migliore forma fisica. Il nucleo patologico dell’ortoressia risiederebbe in una serie di convinzioni distorte su ciò che è sano e nel senso di superiorità personale che deriva dal sottoporsi alle restrizioni alimentari derivanti.
Il bigoressico è ossessionato dall’idea di essere esile e poco sviluppato fisicamente e, nonostante abbia spesso una muscolatura molto sviluppata, non ne è soddisfatto a causa della distorsione dell’immagine corporea. Con i disturbi alimentari condivide le tematiche di autostima, perfezionismo e controllo.
I soggetti affetti da anoressia inversa sono soliti osservarsi costantemente allo specchio, paragonare il proprio fisico con quello di altri, provare stress se saltano una sessione d’allenamento in palestra, o uno dei loro pasti, domandarsi costantemente se hanno assunto abbastanza proteine ogni giorno; possono arrivare facilmente ad assumere anabolizzanti, a trascurare il lavoro, gli studi, la famiglia e le relazioni sociali pensando solo ad allenarsi.
ANORESSIA NERVOSA
Nell’ultima versione del DSM vengono confermati i criteri diagnostici per l’anoressia nervosa che erano già presenti nelle versioni precedenti: la restrizione nell’assunzione di calorie ed il peso corporeo significativamente basso (cioè sotto l’85% del peso previsto); l’intensa paura di ingrassare; e l’alterazione della rappresentazione mentale del proprio corpo, la quale porta ad una costante sensazione di essere sovrappeso. A differenza della precedente edizione del DSM, l’amenorrea (assenza di mestruazioni) non rappresenta più un criterio fondamentale per la diagnosi.
L’anoressia può anche presentarsi accompagnata da abbuffate e/o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi), in tal caso si parla di anoressia di tipo 2.
Le abbuffate consistono nel consumare abbondanti quantità di cibo, preferibilmente a elevato contenuto calorico e sono di solito accompagnate da atteggiamenti compensatori. Spesso chi soffre di anoressia di tipo 2 presenta un sottopeso meno grave rispetto alla più comune anoressia; ha un peso maggiore prima dell’insorgenza del disturbo ed ha più frequentemente parenti sovrappeso o obesi.
BULIMIA NERVOSA
La Bulimia nervosa è caratterizzata da abbuffate e inappropriate condotte compensatorie, almeno 1 volta alla settimana, per un minimo di 3 mesi. Il DSM-5 definisce un episodio di abbuffata come l’ingestione di una quantità di cibo significativamente superiore a quella che la maggior parte degli individui assumerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili, caratterizzato dalla sensazione di perdere il controllo durante l’atto.
Anche la bulimia, come l’anoressia, presenta due sottogruppi distinti dall’uso, o meno, delle condotte di eliminazione (vomito autoindotto o abuso di lassativi o diuretici). Il secondo sottogruppo non ne fa uso e queste pazienti tentano di controllare il peso attraverso l’esercizio fisico, o mangiando poco fino ad arrivare al digiuno. Questo sottogruppo, insieme all’anoressia di tipo 2 (quella con abbuffate/condotte di eliminazione), costituisce una categoria-ponte tra anoressia e bulimia, tanto da sollevare il dibattito su anoressia e bulimia come continuum o come due entità discrete. Inoltre, per gli addetti ai lavori è sicuramente noto il Minnesota Starvation Experiment, il più importante studio che ha valutato gli effetti della restrizione alimentare calorica e della perdita di peso nelle persone normopeso, il quale permise di determinare come il comportamento di abbuffata fosse conseguente ad una massiva restrizione alimentare (Keys, Brozek, Henschel, Mickelsen, & Taylor, 1950).
Molte persone che hanno crisi di abbuffate compulsive esercitano costantemente un intenso sforzo su se stesse per seguire la ferrea dieta che si sono imposte. Le caratteristiche della motivazione individuale determinano poi quelli che sono i tipici pensieri che accompagnano i momenti di ricaduta e di conseguenza anche l’emozione provata.
Un esempio molto banale può essere quello della persona che decide di “sgarrare” mangiando un biscotto. Uno non sarà sufficiente a provare senso di sazietà, anche perché potrebbe trattarsi di una “sazietà” EMOTIVA e non fisiologica, pertanto proseguirà mangiandone un altro, poi tre, quattro e così via fino a perdere il controllo. Qualora si realizzasse un momento di lucidità che potrebbe interrompere l’abbuffata, il pensiero sarà probabilmente: “ho mangiato 4 biscotti, ho buttato tutto alle ortiche, faccio schifo, non valgo niente”, pensiero che si accompagnerà ad un profondo stato di demoralizzazione, frustrazione, auto-critica eccessiva che, a quel punto, giustificherà il proseguo dell’abbuffata.
I seguenti comportamenti di compensazione, quali vomito auto-indotto, uso improprio di lassativi e diuretici (purging), oppure il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo hanno lo scopo di compensare le calorie ingerite durante l’abbuffata, ristabilendo il senso di controllo sul proprio corpo (e talvolta assume anche caratteristica di comportamento auto-punitivo).
BINGE EATING DISORDER (BED)
Si tratta di una condizione di grave sovrappeso o obesità (IMC uguale o superiore a 30), causato da fattori psicologici in assenza di cause mediche o genetiche.
Entrato a far parte dei Disturbi della nutrizione e della alimentazione solo nel DSM-5, il Disturbo da Binge-eating è caratterizzato da abbuffate almeno 1 volta alla settimana per 3 mesi, non seguite da condotte di eliminazione o di controllo del peso di alcun tipo. Un’altra differenza con la Bulimia nervosa è rappresentata dal minore interesse mostrato nei confronti del peso e della forma del corpo. L’assenza di controllo del peso sbilancia questo disturbo tutto sul versante dell’impulsività alimentare, rendendolo in qualche modo diverso dagli altri disturbi alimentari.
Gli episodi di abbuffate compulsive sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri:
- Mangiare molto più rapidamente del normale;
- Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa;
- Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
- Mangiare in solitudine a causa dell’ imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
- Provare disgusto di sé, intensa colpa o disagio dopo aver mangiato troppo.
L’obesità causata dall’alimentazione incontrollata ha spesso una funzione: per alcuni è un mezzo di difesa, un muro oltre il quale è difficile andare, rappresenta quindi una sorta di barriera protettiva per il soggetto, che si sente così più al riparo dagli altri. Spesso un corpo grasso e poco attraente viene, infatti, evitato, mettendo al riparo la persona da aspetti legati alla sfera relazionale e sessuale.
In altri casi il cibo viene usato per colmare un vuoto, per riempirsi e sentire di esistere, attraverso di esso ci si può finalmente sentire “una persona di peso” che ha una posizione e un ruolo, che grazie alla sua massa enorme finalmente viene vista dagli altri. Ancora, il cibo può essere usato come strumento di autoaggressione, di punizione: l’iperalimentazione suscita fantasie distruttive, si mangia fino a voler scoppiare e stare male.
A prescindere dalla funzione che il “grasso” ricopre, di solito chi soffre di questo tipo di disturbo si definisce “perdente” e non ha stima di sé, all’interno della propria famiglia è etichettato e si percepisce come fallito e succube, davanti alle sfide della vita preferisce scegliere la resa, le emozioni che lo caratterizzano sono la vergogna e l’inadeguatezza (Ugazio, 2012).
La letteratura esistente ha ben evidenziato, con riferimento al mantenimento dell‘obesità, l’associazione tra emozioni negative ed episodi di abbuffate compulsive. Il modello della regolazione emotiva postula che questa associazione rappresenta una relazione funzionale in cui l’episodio di binge eating è innescato da alti livelli di emozioni negative e, al tempo stesso, ha la funzione di mitigarne gli effetti.
L’abbuffata compulsiva è la strategia principalmente utilizzata nella riduzione e regolazione degli stati emotivi non desiderabili, in particolare sembrerebbe funzionale ad evitare o ridurre sensi di colpa nel breve periodo, piuttosto che emozioni di paura, ostilità o tristezza (Berge et al., 2015).
Usare il cibo per gestire uno stato emotivo può produrre nell’immediato un senso di benessere e rilassamento ma, se applicato con regolarità può condurre ad un abbassamento del livello di benessere psicofisico, dovuto in parte alla scarsità ed esiguità nella scelta degli stimoli gratificanti e dall’altro al non riconoscimento di stati emotivi come ad esempio ansia, tristezza e nervosismo a cui far corrispondere una risposta più adeguata del cibo alla risoluzione di eventuali problemi (Della Grave et al., 2013).
Un locus of control interno, in cui predomina la percezione che la propria vita sia regolata da qualcosa al di fuori del proprio controllo potrebbe portare a credere di non avere le risorse per controllare gli stimoli ambientali e per gestire stati emotivi negativi, che pertanto potrebbero essere vissuti come intollerabili (Montesi et al., 2016).
Tra i fattori di mantenimento dell’obesità troviamo la sensibilità al cibo. Tutti gli individui reagiscono allo stesso modo di fronte a stimoli gustosi ma ciò che può variare è la sensibilità al potere gratificante del cibo (Beaver J. D. et al., 2006). Soggetti con una accresciuta sensibilità esterna al cibo (external food sensitivity) presentano livelli ridotti di interazioni dinamiche tra i network responsabili dell’alimentazione. La sola vista di cibo appetitoso può indurre in questi individui un maggior incremento dei livelli soggettivi di fame anche in assenza dei relativi segnali omeostatici interni (Passamonti et al., 2009).
Nel comprendere i meccanismi che favoriscono il mantenimento dell’obesità, le condotte alimentari disinibite e maggiori craving di cibo potrebbero essere spiegati anche da deficit a livello di funzioni esecutive (Spinella et al., 2004), un complesso sistema di competenze cruciali nella organizzazione, pianificazione ed integrazione di diversi processi cognitivi. Le funzioni esecutive sono implicate nella capacità di regolazione dei comportamenti impulsivi. Se è presente un deficit a questo livello, il processo decisionale potrebbe essere maggiormente influenzato da vantaggi diretti -cibo appetitoso – piuttosto che dai benefici legati al raggiungimento di obiettivi a lungo termine – non accumulare ulteriore peso – (Duchesne M. et al., 2010).
Una chiave di lettura per questo processo potrebbe essere individuata nella sensibilità alla ricompensa, per cui i comportamenti sarebbero motivati da stimoli in grado di produrre un appagamento immediato. È infatti emersa una più spiccata tendenza dei soggetti con obesità e sovrappeso a scelte rischiose, dimostrando di essere maggiormente inclini a tollerare un minor valore di ricompensa (e quindi un rischio più alto) a patto che questa sia immediata, a fronte di una ricompensa maggiore ma posticipata (Navas J. F. et al., 2016).
Il mangiare eccessivamente quindi non sarebbe l’unico fattore di mantenimento dell’obesità e non rappresenterebbe esclusivamente una risposta passiva ad un ambiente ricco di stimoli e ad una forte attivazione fisiologica (Duchesne M. et al., 2010), ma sarebbe anche correlato alla incapacità di posticipare la gratificazione immediata, a cui si aggiungono difficoltà di pianificazione, problem solving e una minore flessibilità cognitiva (Boeka A.T et al., 2008).
SINDROME DA ALIMENTAZIONE NOTTURNA
La Sindrome da Alimentazione Notturna (in inglese, Night Eating Syndrome – NES –) è stata per la prima volta descritta da Albert Stunkard nel 1955 e definita come: un disturbo caratterizzato da iperfagia serale e notturna, accompagnata da anoressia mattutina con tendenza a saltare la colazione e scarso appetito durante il giorno.
La Sindrome da Alimentazione Notturna è un disturbo abbastanza diffuso: si stima una prevalenza dell’1,1-1,5% nella popolazione generale e del 6-16% nei soggetti obesi (Ceru-Bjork, Andersson, Rossner, 2001; Stunkard, Berkowitz, Wadden, Tanrikut, Reiss, Young, 1996).
Si configura come un disturbo caratterizzato da frequenti episodi di risveglio notturno durante i quali la persona tende a ricorrere a spuntini, generalmente carboidrati, nella convinzione di non riuscire a riprendere sonno qualora non assuma del cibo. Si stima che coloro i quali ne soffrono tendano ad assumere circa il 25% del fabbisogno calorico giornaliero dopo cena o durante i risvegli notturni (0’Reardon, Ringel, Dinges, 2004).
Si presenta frequentemente associata ad altri disturbi psichiatrici, in particolare disturbi alimentari come il Binge Eating Disorder o la Bulimia Nervosa. È stata, infatti, stimata una prevalenza della night eating syndrome, fra coloro i quali soffrono di altri disturbi alimentari, che oscilla fra il 5 e il 44% (Stunkard et al., 1996).
La Sindrome da Alimentazione Notturna si differenzia, tuttavia, dagli altri Disturbi della nutrizione e della alimentazione sulla base dello specifico pattern alimentare, dalla quantità di calorie assunte durante il giorno e quelle, per contro, assunte durante la notte, dall’assenza di comportamenti compensatori e dalla compromissione del sonno. Nei BED i risvegli notturni con assunzione di cibo possono talvolta essere presenti ma non sono così distintivi e frequenti come nella sindrome da alimentazione notturna. Inoltre, nel BED la quantità di cibo assunta durante le abbuffate è maggiore rispetto a quella assunta durante gli episodi della night eating syndrome (Allison, 2011).
Ricerche condotte su pazienti affetti da Sindrome da Alimentazione Notturna hanno, inoltre, riscontrato un’alta comorbilità con altre psicopatologie, in particolare la depressione ma anche disturbi d’ansia ed abuso di sostanze (Lundgren, Allison, 0’ Reardon, Stunkard, 2008).
In aggiunta, insonnia e disturbi del sonno possono precedere tale sindrome. D’altra parte la Sindrome da Alimentazione Notturna può essere, essa stessa, causa o trigger di difficoltà del sonno. La letteratura presente sull’argomento ha infatti evidenziato la frequente presenza, in coloro che ne soffrono, di difficoltà nel prendere sonno o nel mantenerlo associata ad una bassa efficacia e qualità del sonno stesso (Kucukgoncu, Tek, Bestepe, Musket, Guloksuz, 2014; Rogers, Dinges, Allison, 2006).
La Sindrome da Alimentazione Notturna si configura, infine, quale possibile fattore di rischio per l’obesità, il diabete mellito ed altri disturbi metabolici ed endocrini.